martedì 27 maggio 2008

Le lotte per i diritti civili del dopoguerra

Nelle elezioni presidenziali del 1948 Harry Truman si guadagnò il voto determinante dei neri impegnandosi a promuovere una decisa politica in favore dei diritti civili delle minoranze; tuttavia il cupo periodo del maccartismo (1950-1953) scoraggiò ogni iniziativa in tal senso. Furono invece le sentenze dei giudici della Corte suprema, nominati dal repubblicano Dwight Eisenhower, ad aprire la via all'abolizione della segregazione nelle scuole pubbliche, anche se la loro applicazione (apertamente contestata da molti funzionari governativi degli stati del Sud) dovette essere garantita più volte da interventi delle truppe federali inviate dalla Casa Bianca.
Un vasto movimento per l'abolizione della segregazione e per i diritti civili (che dal febbraio 1960 ebbe il suo centro propulsore nello SNCC, Student Nonviolent Coordinating Committee) si andò intanto formando attorno al reverendo nero Martin Luther King.
Questi, attraverso la protesta non violenta, ottenne l'appoggio della stampa e degli ambienti progressisti; le campagne da lui promosse tra il 1961 e il 1964 attraversarono ogni settore della società americana, culminando nell'imponente marcia che il 28 agosto 1963 portò oltre 250.000 manifestanti a Washington per sollecitare una decisa azione governativa e congressuale.
Il neopresidente John F. Kennedy rispose introducendo una normativa che intendeva porre fine alla segregazione nel settore pubblico, fortemente osteggiata dai congressisti e divenuta legge solo nel 1964, sulla spinta emozionale del suo assassinio a Dallas.
L'estate dell'anno seguente, su proposta del successore Lyndon Johnson, venne invece approvata la nuova legislazione sul diritto di voto.

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