martedì 27 maggio 2008

I fatti di Birmingham del '63

Birmingham era un centro industriale dell’Alabama a un’ora e mezzo di automobile a nord di Montgomery. Nel 1957 erano stati attuati in città diciassette attentati dinamitardi contro le chiese dei neri senza che alcun responsabile fosse mai stato individuato e il Ku Klux Klan era penetrato cinquanta volte nel quartiere di colore.
Fred Shuttlesworth, un collega di King e suo amico dai tempi di Montgomery, lo aveva chiamato a Birmingham, ben sapendo di imbarcarsi in un’impresa a rischio. Durante una riunione preparatoria King aveva detto ai suoi collaboratori: "Ci tengo molto che ciascuno di voi rifletta attentamente prima di decidere se partecipare alla campagna. Io prevedo che qualcuno dei presenti non tornerà a casa vivo. Quindi pensateci bene." La campagna di disobbedienza civile fu preparata sia reclutando alcune centinaia di volontari con il compito di coinvolgere la popolazione nera, sia organizzando conferenze tenute da King in ogni dove per raccogliere i fondi necessari.
Il giorno d’inizio della campagna fu mercoledì 3 aprile 1963 e la sera precedente King indisse un raduno di preghiera. Al mattino trenta volontari presero posto ai banchi delle tavole calde dei cinque grandi magazzini più prestigiosi della città e chiesero di essere serviti. Furono respinti e venne loro intimato di lasciare il locale. Quando si rifiutarono di abbandonare i loro posti, la polizia sopraggiunta ne portò in prigione ventuno. Quella sera King fece appello alla popolazione nera perché boicottasse i grandi magazzini dei bianchi in segno di solidarietà con gli arrestati. I primi tre giorni della protesta si svolsero in modo quasi pacifico e furono effettuati soltanto trentacinque arresti. Il sabato quarantacinque volontari si recarono in marcia al municipio insieme al pastore Shuttlesworth per presentare protesta contro l’arresto dei sostenitori dei diritti civili. Quarantadue di loro furono fermati.
La domenica il fratello di King, Alfred-Daniel, che era stato chiamato come pastore a Birmingham, si spinse fino in centro con una marcia di preghiera. Fu arrestato e spedito in prigione insieme ad altri venticinque dimostranti. Il ministro della giustizia Robert Kennedy fece pervenire a King un messaggio personale, in cui gli consigliava di smorzare il tono della protesta giacché, si esprimeva, "i diritti civili non si conquistano in piazza".
King era deciso ad ignorare l’ingiunzione emessa dal tribunale locale che vietava qualunque altra forma di protesta e organizzò per il venerdì santo una marcia alla prigione insieme a cinquanta volontari; negli ultimi cinque giorni circa cinquecento neri erano stati rinchiusi in carcere. La polizia ben presto intervenì e condusse i dimostranti in prigione. Per King si trattava del tredicesimo arresto. In carcere scrisse la Lettera dal carcere di Birmingham, che era una risposta agli ecclesiastici che reputavano che i neri avrebbero fatto meglio a sfruttare le loro possibilità legali, anziché impiegare tutto quel tempo a tenere dimostrazioni. King scrisse: "Quando attraversi il Paese e sei costretto a dormire notte dopo notte negli angoli scomodi di un’automobile perché non c’è un motel che ti accolga; quando giorno dopo giorno vieni umiliato dai cartelli provocatori ‘per bianchi’ e ‘per gente di colore’; quando non hai più un nome perché ti chiamano nigger, non hai altro appellativo che boy, qualunque sia la tua età, e il tuo cognome è comunque ‘John’; quando a tua moglie e a tua madre non viene mai riconosciuto il titolo di riguardo Mrs.; quando il fatto di esser nero ti tormenta di giorno e ti perseguita di notte e ti costringe a camminare sempre in punta di piedi; allora bisogna comprendere perché a noi risulti tanto difficile aspettare."
Sabato 20 aprile King fu rimesso in libertà dietro pagamento della cauzione e il successivo processo si concluse con una multa di cinquanta dollari. Gli organizzatori della manifestazione decisero allora di coinvolgere i ragazzi. Il 2 maggio gruppi di cinquanta giovani partirono dalla chiesa dove avevano ascoltato un discorso di King. La polizia era schierata con manganelli, caschi, scudi e cani al guinzaglio. I ragazzi riuscirono però ad aggirare il blocco e a raggiungere il centro, dove si riunirono in un corteo che avanzò verso il municipio. La polizia rincorse i manifestanti e fermò la marcia, arrestando novecentocinquantanove bambini e ragazzi, che furono trattati in maniera umiliante e violenta. King indisse per il giorno seguente un’altra manifestazione. Cinquecento ragazzi lasciarono l’edificio della chiesa prima che la polizia arrivasse a sbarrare il portone. Gli altri si defilarono dalle uscite laterali. La polizia attaccò i dimostranti con gli idranti e scatenò i cani contro di loro. Per reazione sui tetti delle case circostanti comparvero giovani neri che cominciarono a prendere di mira la polizia con un lancio di sassi. La campagna nonviolenta rischiava di precipitare. Gli organizzatori riuscirono a salvare la situazione invitando ancora una volta a non fare uso della violenza. Il corteo dei ragazzi suscitò aspre critiche, poiché King e gli organizzatori della protesta furono accusati di bieco cinismo e di abusare dei giovani. King rispose affermando che un bianco non era in grado di farsi un’idea di che cosa significava essere un bambino nero che cresceva in una realtà come quella di Birmingham.
Dopo le dimostrazioni dei ragazzi, la popolazione di colore continuò le manifestazioni e tutti i giorni furono organizzate marce verso il municipio, nonostante i manganelli e gli idranti della polizia. Il 6 e 7 maggio furono arrestate duemila persone.
Le carceri erano sovraffollate. Robert Kennedy inviò a Birmingham un incaricato speciale, con il compito di convincere i commercianti bianchi a trattare con King per giungere ad un’intesa. King avanzò quattro richieste: l’abolizione della segregazione nelle tavole calde, nei bagni, negli spogliatoi e alle fontanelle dell’acqua potabile dei centri commerciali; l’assunzione di neri, con la relativa possibilità di fare carriera, all’interno dell’amministrazione comunale e delle aziende commerciali; la sospensione di tutti i procedimenti penali in corso contro i dimostranti; l’istituzione di un comitato misto di bianchi e neri per programmare altre misure per l’abolizione della segregazione. Agli occhi della città, però, nessuna di queste condizioni poteva esser oggetto di trattative. Intanto sulle strade la protesta continuava e si ebbero numerosi feriti. Volarono pezzi di mattone, bottiglie e sassi. King con il megafono continuava a richiamare alla nonviolenza. Impressionati dal protrarsi della crisi, i rappresentanti della Camera di commercio avviarono trattative segrete con i responsabili della protesta.
Il 9 maggio King fu di nuovo arrestato. Shuttlesworth, dimesso dall’ospedale dove era stato ricoverato a causa di un getto d’idrante, mise in campo mille volontari per occupare il centro cittadino, dove nel frattempo si erano schierati duemila soldati regolari. Intervenne allora Robert Kennedy in persona, che convinse dopo difficili trattative Shuttlesworth a rinviare la marcia al carcere al tardo pomeriggio e a sospenderla, qualora King fosse stato rilasciato.
Il governo fece pressioni sul tribunale locale affinché King fosse immediatamente liberato dietro pagamento della cauzione e così avvenne. Lo stesso giorno i negoziatori bianchi si dichiararono disposti ad accettare tutte le condizioni richieste. L’autorità giudiziaria rilasciò tremila dimostranti detenuti, ma l’amministrazione comunale si rifiutò di riconoscere l’intesa raggiunta. Su richiesta del Consiglio comunale il Provveditorato agli studi allontanò dalle lezioni millecento ragazzi per partecipazione non autorizzata a dimostrazioni. Ma alla fine del mese il Supremo tribunale amministrativo destituì dall’incarico il Consiglio comunale.
L’effetto Birmingham si fece sentire e nel giro di dieci settimane il Ministero della giustizia registrò settecentocinquanta dimostrazioni in centottantasei città.

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