martedì 27 maggio 2008

Il nazionalismo nero

Nel 1966 la dirigenza dello SNCC affermò che obiettivo della lotta dei neri non poteva più essere il riconoscimento dei diritti civili comunque dovuti, bensì l'esercizio di un 'potere nero' possibile solo quando la gente di colore avesse sviluppato una più definita e positiva immagine di se stessa. In questo processo, un ruolo di primo piano svolsero in quegli anni gli atleti di colore, determinati a rendere le proprie vittorie occasioni per rivendicare pubblicamente un crescente orgoglio di razza.Il caso più eclatante fu quello del popolarissimo campione dei pesi massimi Cassius Clay, che si rifiutò di prestare il servizio militare in Vietnam, perdendo per questo il titolo e finendo in carcere.
Il più celebre avvocato della causa del nazionalismo nero fu Malcom X, leader dei Black Muslims, i cui appelli per un'azione violenta di rivendicazione e di autodifesa acquistarono vastissimo seguito dopo il suo assassinio nel 1965, specialmente nei ghetti delle grandi città, dove con più evidenza si manifestavano la lentezza e la contraddittorietà del processo di emancipazione in corso.
Nell'agosto del 1965 un'ondata di cruenti scontri razziali si propagò da Los Angeles in tutti gli Stati Uniti, senza attenuarsi nei tre anni successivi. Nuove formazioni, come il partito delle Black Panthers, radicalizzarono il malessere nero nei metodi di lotta e nelle posizioni ideologiche, sino a teorizzare la creazione di una società nera separata, in una sorta di 'segregazione' alla rovescia. La spietata repressione attuata dalle forze di polizia, assieme ai profondi dissidi interni, determinarono il declino dei movimenti radicali. Emerse allora una leadership più moderata che evitò di mettere in discussione l'intero ordine sociale americano e, ridando centralità ai canali della politica tradizionale, iniziò a organizzare propri gruppi di pressione e a sostenere una propria classe di governo.

I fatti di Birmingham del '63

Birmingham era un centro industriale dell’Alabama a un’ora e mezzo di automobile a nord di Montgomery. Nel 1957 erano stati attuati in città diciassette attentati dinamitardi contro le chiese dei neri senza che alcun responsabile fosse mai stato individuato e il Ku Klux Klan era penetrato cinquanta volte nel quartiere di colore.
Fred Shuttlesworth, un collega di King e suo amico dai tempi di Montgomery, lo aveva chiamato a Birmingham, ben sapendo di imbarcarsi in un’impresa a rischio. Durante una riunione preparatoria King aveva detto ai suoi collaboratori: "Ci tengo molto che ciascuno di voi rifletta attentamente prima di decidere se partecipare alla campagna. Io prevedo che qualcuno dei presenti non tornerà a casa vivo. Quindi pensateci bene." La campagna di disobbedienza civile fu preparata sia reclutando alcune centinaia di volontari con il compito di coinvolgere la popolazione nera, sia organizzando conferenze tenute da King in ogni dove per raccogliere i fondi necessari.
Il giorno d’inizio della campagna fu mercoledì 3 aprile 1963 e la sera precedente King indisse un raduno di preghiera. Al mattino trenta volontari presero posto ai banchi delle tavole calde dei cinque grandi magazzini più prestigiosi della città e chiesero di essere serviti. Furono respinti e venne loro intimato di lasciare il locale. Quando si rifiutarono di abbandonare i loro posti, la polizia sopraggiunta ne portò in prigione ventuno. Quella sera King fece appello alla popolazione nera perché boicottasse i grandi magazzini dei bianchi in segno di solidarietà con gli arrestati. I primi tre giorni della protesta si svolsero in modo quasi pacifico e furono effettuati soltanto trentacinque arresti. Il sabato quarantacinque volontari si recarono in marcia al municipio insieme al pastore Shuttlesworth per presentare protesta contro l’arresto dei sostenitori dei diritti civili. Quarantadue di loro furono fermati.
La domenica il fratello di King, Alfred-Daniel, che era stato chiamato come pastore a Birmingham, si spinse fino in centro con una marcia di preghiera. Fu arrestato e spedito in prigione insieme ad altri venticinque dimostranti. Il ministro della giustizia Robert Kennedy fece pervenire a King un messaggio personale, in cui gli consigliava di smorzare il tono della protesta giacché, si esprimeva, "i diritti civili non si conquistano in piazza".
King era deciso ad ignorare l’ingiunzione emessa dal tribunale locale che vietava qualunque altra forma di protesta e organizzò per il venerdì santo una marcia alla prigione insieme a cinquanta volontari; negli ultimi cinque giorni circa cinquecento neri erano stati rinchiusi in carcere. La polizia ben presto intervenì e condusse i dimostranti in prigione. Per King si trattava del tredicesimo arresto. In carcere scrisse la Lettera dal carcere di Birmingham, che era una risposta agli ecclesiastici che reputavano che i neri avrebbero fatto meglio a sfruttare le loro possibilità legali, anziché impiegare tutto quel tempo a tenere dimostrazioni. King scrisse: "Quando attraversi il Paese e sei costretto a dormire notte dopo notte negli angoli scomodi di un’automobile perché non c’è un motel che ti accolga; quando giorno dopo giorno vieni umiliato dai cartelli provocatori ‘per bianchi’ e ‘per gente di colore’; quando non hai più un nome perché ti chiamano nigger, non hai altro appellativo che boy, qualunque sia la tua età, e il tuo cognome è comunque ‘John’; quando a tua moglie e a tua madre non viene mai riconosciuto il titolo di riguardo Mrs.; quando il fatto di esser nero ti tormenta di giorno e ti perseguita di notte e ti costringe a camminare sempre in punta di piedi; allora bisogna comprendere perché a noi risulti tanto difficile aspettare."
Sabato 20 aprile King fu rimesso in libertà dietro pagamento della cauzione e il successivo processo si concluse con una multa di cinquanta dollari. Gli organizzatori della manifestazione decisero allora di coinvolgere i ragazzi. Il 2 maggio gruppi di cinquanta giovani partirono dalla chiesa dove avevano ascoltato un discorso di King. La polizia era schierata con manganelli, caschi, scudi e cani al guinzaglio. I ragazzi riuscirono però ad aggirare il blocco e a raggiungere il centro, dove si riunirono in un corteo che avanzò verso il municipio. La polizia rincorse i manifestanti e fermò la marcia, arrestando novecentocinquantanove bambini e ragazzi, che furono trattati in maniera umiliante e violenta. King indisse per il giorno seguente un’altra manifestazione. Cinquecento ragazzi lasciarono l’edificio della chiesa prima che la polizia arrivasse a sbarrare il portone. Gli altri si defilarono dalle uscite laterali. La polizia attaccò i dimostranti con gli idranti e scatenò i cani contro di loro. Per reazione sui tetti delle case circostanti comparvero giovani neri che cominciarono a prendere di mira la polizia con un lancio di sassi. La campagna nonviolenta rischiava di precipitare. Gli organizzatori riuscirono a salvare la situazione invitando ancora una volta a non fare uso della violenza. Il corteo dei ragazzi suscitò aspre critiche, poiché King e gli organizzatori della protesta furono accusati di bieco cinismo e di abusare dei giovani. King rispose affermando che un bianco non era in grado di farsi un’idea di che cosa significava essere un bambino nero che cresceva in una realtà come quella di Birmingham.
Dopo le dimostrazioni dei ragazzi, la popolazione di colore continuò le manifestazioni e tutti i giorni furono organizzate marce verso il municipio, nonostante i manganelli e gli idranti della polizia. Il 6 e 7 maggio furono arrestate duemila persone.
Le carceri erano sovraffollate. Robert Kennedy inviò a Birmingham un incaricato speciale, con il compito di convincere i commercianti bianchi a trattare con King per giungere ad un’intesa. King avanzò quattro richieste: l’abolizione della segregazione nelle tavole calde, nei bagni, negli spogliatoi e alle fontanelle dell’acqua potabile dei centri commerciali; l’assunzione di neri, con la relativa possibilità di fare carriera, all’interno dell’amministrazione comunale e delle aziende commerciali; la sospensione di tutti i procedimenti penali in corso contro i dimostranti; l’istituzione di un comitato misto di bianchi e neri per programmare altre misure per l’abolizione della segregazione. Agli occhi della città, però, nessuna di queste condizioni poteva esser oggetto di trattative. Intanto sulle strade la protesta continuava e si ebbero numerosi feriti. Volarono pezzi di mattone, bottiglie e sassi. King con il megafono continuava a richiamare alla nonviolenza. Impressionati dal protrarsi della crisi, i rappresentanti della Camera di commercio avviarono trattative segrete con i responsabili della protesta.
Il 9 maggio King fu di nuovo arrestato. Shuttlesworth, dimesso dall’ospedale dove era stato ricoverato a causa di un getto d’idrante, mise in campo mille volontari per occupare il centro cittadino, dove nel frattempo si erano schierati duemila soldati regolari. Intervenne allora Robert Kennedy in persona, che convinse dopo difficili trattative Shuttlesworth a rinviare la marcia al carcere al tardo pomeriggio e a sospenderla, qualora King fosse stato rilasciato.
Il governo fece pressioni sul tribunale locale affinché King fosse immediatamente liberato dietro pagamento della cauzione e così avvenne. Lo stesso giorno i negoziatori bianchi si dichiararono disposti ad accettare tutte le condizioni richieste. L’autorità giudiziaria rilasciò tremila dimostranti detenuti, ma l’amministrazione comunale si rifiutò di riconoscere l’intesa raggiunta. Su richiesta del Consiglio comunale il Provveditorato agli studi allontanò dalle lezioni millecento ragazzi per partecipazione non autorizzata a dimostrazioni. Ma alla fine del mese il Supremo tribunale amministrativo destituì dall’incarico il Consiglio comunale.
L’effetto Birmingham si fece sentire e nel giro di dieci settimane il Ministero della giustizia registrò settecentocinquanta dimostrazioni in centottantasei città.

La grande marcia su Washington (28 agosto 1963)


Il mattino del 28 agosto 1963 duecentocinquantamila persone confluirono a Washington da tutte le parti del Paese. Passarono attraverso le strade cantando: "Black and white together". Secondo le stime ufficiali, tra i dimostranti c’erano ottantacinquemila bianchi. Il presidente Kennedy stava cercando di far approvare la legge sui diritti civili e aveva sconsigliato di organizzare la grande marcia, poiché temeva che suonasse come un ricatto nei confronti dei delegati. King ribadì: "Di tutte le campagne alle quali io abbia partecipato è sempre stato detto che capitavano al momento sbagliato". Tuttavia i dirigenti neri fecero di tutto per assicurare che la marcia risultasse una manifestazione pacifica. Duemila poliziotti neri di New York si erano offerti come volontari per il servizio di sicurezza. Joan Baez cantò l’inno del Movimento "We shall overcome" e milioni di telespettatori assistettero al corteo, che era lungo chilometri. Un gruppetto esiguo di nazisti statunitensi si fece notare ai margini della manifestazione. I dirigenti neri lessero le loro rivendicazioni, che avrebbero poi sottoposto al Presidente, alla Casa bianca, a conclusione del raduno: leggi efficaci per i diritti civili, finanziamenti federali per i programmi di integrazione, abolizione della segregazione in tutte le scuole pubbliche entro la fine del 1963, riduzione del numero dei delegati alla Casa dei rappresentanti per tutti gli Stati che limitavano il diritto al voto dei neri, richiesta di un’edilizia popolare pubblica, iniziative federali contro la sottoccupazione e l’abolizione di posti di lavoro, aumento del minimo salariale. King fu l’ultimo a parlare e pronunciò il famoso discorso ricordato con la sua affermazione "I have a dream". Disse: Io ho un sogno: che un giorno sulle colline rosse della Georgia i figli degli schiavi e i figli degli schiavisti di un tempo possano sedere assieme al tavolo della fratellanza. Io ho un sogno: che un giorno persino lo Stato del Mississippi, uno Stato che sta languendo nella foga dell’ingiustizia e dell’oppressione, si trasformi in un’oasi di libertà e giustizia. Io ho un sogno: che un giorno i miei quattro figli potranno vivere in una nazione che non li giudicherà per il colore della loro pelle, ma per il loro carattere. Io ho un sogno." La folla lo seguiva esclamando "Amen" e "Lodato sia il Signore" e lo interrompeva continuamente con applausi scroscianti. Durante la manifestazione non si verificarono incidenti.

Il boicottaggio degli autobus a Montgomery (1° dicembre 1955)

Il 1° dicembre 1955 a Montgomery, in Alabama, Rosa Parks, una signora nera di mezza età, salì su un autobus di linea, seguì l’indicazione "Gente di colore" e prese posto nella quinta fila a sinistra, dietro ai posti riservati ai passeggeri bianchi. L’autobus ben presto si riempì.
Il conducente invitò allora a far posto ai "signori bianchi" e tre neri si alzarono. Rosa era stanca, aveva appena terminato una lunga giornata di lavoro, le facevano male i piedi e decise di rimanere seduta. Il conducente la invitò esplicitamente ad alzarsi, ma la donna rifiutò, senza alzare la voce, perché sapeva che altrimenti avrebbe offerto un pretesto per farla scendere. L’autista si allontanò e ritornò dopo poco accompagnato da due poliziotti, i quali afferrarono la donna e la trascinarono via. L’autobus ripartì e la donna venne condotta al posto di polizia, dove il funzionario di turno compilò il modulo di arresto con l’accusa di violazione delle norme municipali regolanti la disposizione razziale dei posti sugli autoveicoli pubblici.
Rosa telefonò a E. D. Nixon, presidente dell’N.A.A.C.P., il quale la raggiunse al commissariato, pagò la cauzione e la riportò a casa. Quindi avvisò dell’accaduto Jo Ann Robinson, presidentessa del Consiglio politico delle donne di Montgomery, la quale propose a Nixon di lanciare un appello alla popolazione di colore per boicottare i mezzi pubblici in segno di protesta. Alle cinque del mattino Nixon telefonò ai due pastori della città per chiedere il loro appoggio.
Uno dei due era Martin Luther King, il quale esitò e chiese di poter riflettere, ma quaranta minuti dopo, dietro le insistenze di Nixon, accettò di mettere a disposizione la sua chiesa come luogo di incontro della comunità nera per poter discutere la questione.
Nelle prime ore del pomeriggio erano già stati distribuiti quarantamila volantini in cui si invitava a non utilizzare l’autobus lunedì 5 dicembre.
L’appello al boicottaggio era già stato lanciato prima che avesse inizio la riunione, durante la quale King si tenne in disparte, suscitando il lamento di Robinson. Solo le chiese disponevano dell’organizzazione necessaria per mobilitare un alto numero di neri e alla fine i pastori promisero di dare risalto al boicottaggio nei sermoni della domenica e di ristampare all’interno delle singole comunità ecclesiastiche il volantino.
Alla domenica nelle chiese affluì una massa di gente e i pastori raccolsero applausi scroscianti. Nel pomeriggio King lesse in articolo sul "Montgomery adviser", in cui si bollava il minacciato boicottaggio come un’azione di razzismo nero e ciò sollevò i suoi dubbi. Alla fine decise che il boicottaggio era un tentativo di spiegare ai bianchi che non era possibile collaborare oltre con un sistema malvagio.
In genere in una giornata lavorativa utilizzavano i mezzi pubblici ventimila neri. Quel lunedì furono contati solo dodici viaggiatori neri.
Intanto fu processata Rosa Parks, che fu riconosciuta colpevole e le venne inflitta una multa di dieci dollari. Il suo avvocato presentò ricorso. Qualche ora più tardi alcune persone si incontrarono nella chiesa di King ed egli, colto di sorpresa, fu eletto presidente della Montgomery Improvement Association. "Tutta la faccenda mi si presentò così inaspettatamente, che non ebbi tempo di rifletterci sopra", affermò King. "Io non avevo né iniziato né proposto quella protesta. Reagii semplicemente al richiamo del popolo che chiedeva un portavoce."
L’assemblea preparò il testo delle richieste da proporre all’azienda dei trasporti, tra le quali si chiedeva "che i viaggiatori possano prendere posto secondo l’ordine di salita, i neri a cominciare dalle ultime file". Si trattava di richieste indubbiamente moderate, che non mettevano in discussione il principio della separazione razziale.
Quella sera il neo presidente tenne un discorso appassionato di fronte ad una folle enorme. Ricordò molti casi di ingiustizie subite da neri sui mezzi pubblici. Poi disse: "Siamo qui per dire a coloro che ci hanno maltrattato per tanto tempo che noi siamo stanchi. Siamo stanchi di essere segregati e umiliati. Siamo stanchi di essere presi a calci in maniera brutale, di essere oppressi. Non abbiamo altra alternativa che la protesta. Per molti anni abbiamo mostrato una pazienza sorprendente. A volte abbiamo dato ai nostri fratelli bianchi l’impressione che il modo in cui venivamo trattati ci piacesse. Ma questa sera siamo venuti qui per dire che la nostra pazienza è finita, che saremo pazienti solo quando avremo libertà e giustizia."
L’assemblea approvò all’unanimità la proposta di continuare il boicottaggio ad oltranza, fino a quando fossero state rispettate le richieste della popolazione nera, la quale continuò l’azione di protesta per trecentottantasei giorni, organizzando un sistema di trasporti alternativo. In questi mesi King acquistò una statura di rilievo pubblico. Quotidiani di tutto il mondo inviarono giornalisti nella città sul fiume Alabama e arrivarono le televisioni a riprenderlo. Il nuovo media, sufficientemente sviluppato negli Stati Uniti a quell’epoca, contribuì a rendere Martin Luther King una figura di rilevanza nazionale. Contemporaneamente King e la sua famiglia furono bombardati da minacce di morte e ricevettero un’infinità di telefonate piene di insulti e di volgarità. La sua casa subì un attentato dinamitardo in cui moglie e figlio si salvarono per miracolo. King ebbe dubbi, provò paura, ma trovò nella sua fede religiosa la forza di continuare. Intanto venne accusato di frode fiscale; quindi arrestato per eccesso di velocità. Era la prima di una lunga serie di detenzioni. Una folla adirata si adunò davanti alla prigione chiedendo la scarcerazione del pastore e la polizia, dietro pagamento della cauzione, lo rilasciò.
King volò da una parte all’altra degli Stati Uniti per mobilitare l’opinione pubblica e per raccogliere fondi per la causa. Intanto le autorità municipali intentarono un processo per "trasporto di viaggiatori non autorizzato" contro il Movimento per i diritti civili, chiedendo al tribunale un provvedimento ingiuntivo temporaneo contro il sistema di automobili private che offrivano passaggi gratuiti ai neri. King cercò di trattare con l’azienda, che però si dimostrò irremovibile. Il momento era delicato, perché se la Corte locale avesse dato ragione alle autorità municipali, il boicottaggio sarebbe giunto alla fine, in quanto non si poteva chiedere alla popolazione nera di andare e tornare tutti i giorni dal lavoro a piedi. Proprio in quel momento però la Corte Suprema, alla quale avevano fatto ricorso gli avvocati della N.A.A.C.P., dichiarò incostituzionale la separazione razziale sui mezzi pubblici di trasporto di Montgomery e le norme locali di segregazione delle Stato dell’Alabama.
La comunità di colore si preparò al trasporto integrato simulando sui banchi della chiesa alcune scene di situazioni conflittuali. La popolarità di King era alle stelle e all’inizio del 1957 la sua fotografia campeggiò sulla copertina di "Time". Il boicottaggio ebbe termine il 21 dicembre 1956 e nel giro di una settimana il trasporto integrato divenne una pratica comune a Montgomery. Si verificarono soltanto due piccoli incidenti di intolleranza.

Le lotte per i diritti civili del dopoguerra

Nelle elezioni presidenziali del 1948 Harry Truman si guadagnò il voto determinante dei neri impegnandosi a promuovere una decisa politica in favore dei diritti civili delle minoranze; tuttavia il cupo periodo del maccartismo (1950-1953) scoraggiò ogni iniziativa in tal senso. Furono invece le sentenze dei giudici della Corte suprema, nominati dal repubblicano Dwight Eisenhower, ad aprire la via all'abolizione della segregazione nelle scuole pubbliche, anche se la loro applicazione (apertamente contestata da molti funzionari governativi degli stati del Sud) dovette essere garantita più volte da interventi delle truppe federali inviate dalla Casa Bianca.
Un vasto movimento per l'abolizione della segregazione e per i diritti civili (che dal febbraio 1960 ebbe il suo centro propulsore nello SNCC, Student Nonviolent Coordinating Committee) si andò intanto formando attorno al reverendo nero Martin Luther King.
Questi, attraverso la protesta non violenta, ottenne l'appoggio della stampa e degli ambienti progressisti; le campagne da lui promosse tra il 1961 e il 1964 attraversarono ogni settore della società americana, culminando nell'imponente marcia che il 28 agosto 1963 portò oltre 250.000 manifestanti a Washington per sollecitare una decisa azione governativa e congressuale.
Il neopresidente John F. Kennedy rispose introducendo una normativa che intendeva porre fine alla segregazione nel settore pubblico, fortemente osteggiata dai congressisti e divenuta legge solo nel 1964, sulla spinta emozionale del suo assassinio a Dallas.
L'estate dell'anno seguente, su proposta del successore Lyndon Johnson, venne invece approvata la nuova legislazione sul diritto di voto.

Origini del lotte per i diritti civili (1900 - 1950)

Le condizioni di vita sempre peggiori nel Sud spinsero molti neri verso le coste orientali e gli stati centroccidentali, dove peraltro essi si scontrarono con la forte ostilità della massa di immigrati bianchi proveniente da oltre Atlantico.
L'urbanizzazione di una parte consistente della popolazione nera (accentuatasi nel corso della prima guerra mondiale, sulla spinta della necessità degli imprenditori di sostituire i lavoratori bianchi richiamati dall'esercito) ebbe effetti profondi sulla società e sulla cultura afroamericane. Nell'ambiente cittadino, i primi intellettuali formatisi nelle università nere fondate a Nashville, Atlanta, Hampton, oltre a sottolineare la problematica della parità dei diritti e a promuovere gruppi organizzati di protesta (tra i quali emerse presto quello interrazziale della NAACP, National Association for the Advancement of Colored People), diedero vita a una vivacissima stagione intellettuale, nota come Harlem Renaissance. Per tutto il corso degli anni Venti i suoi frutti raggiunsero un vasto pubblico, anche non di colore, tramite giornali e riviste pubblicate da editori neri, mentre sempre più massiccia e determinante si faceva la presenza di artisti e musicisti neri (la musica jazz fu uno degli elementi qualificanti l'intero decennio).
L'età riformista del New Deal, lanciato dal presidente democratico Franklin Delano Roosevelt per far fronte alle conseguenze del crollo di Wall Street del 1929, mancò di iniziative specificamente volte a risolvere le problematiche degli afroamericani, come ad esempio l'introduzione di una legislazione contro il linciaggio, da più parti e da tempo invocata. I primi programmi federali di assistenza determinarono uno spostamento dell'elettorato nero verso il Partito democratico. In quegli anni fu invece la NAACP a lanciare una vigorosa battaglia contro la discriminazione nel settore dell'educazione pubblica, ottenendo, nel 1938, che la Corte suprema imponesse l'ammissione di uno studente nero all'università del Missouri.
Una netta svolta nella questione razziale si ebbe comunque con la seconda guerra mondiale. Per motivi sia ideali sia pratici (necessità di manodopera per rimpiazzare quella bianca richiamata sotto le armi), il presidente Roosevelt emanò un'ordinanza che proibiva la discriminazione razziale negli uffici governativi e nelle industrie belliche. Per i neri il servizio militare divenne un solido motivo di rivendicazione della parità di condizione e di diritti nei confronti della componente bianca della nazione. D'altra parte, tutta la retorica della propaganda di guerra incentrata sulla promozione delle 'quattro libertà' (di espressione e di religione, dal bisogno e dalla paura) rendeva in un certo senso obbligatorio che esse trovassero realizzazione innanzitutto negli Stati Uniti.
I sit-in pacifici promossi dal CORE (Congress of Racial Equality), fondato nel 1942, divennero così l'espressione visibile della rinnovata determinazione di un sempre più vasto numero di militanti riformatori bianchi e neri a sfidare la segregazione razziale.

Il caso Emmett Till

"Accadde nel Mississippi non molto tempo fa / Quando un ragazzo di Chicago / Arrivò in una casa del Sud / Me la ricordo bene quella orribile tragedia / Il colore della sua pelle era nero / E il suo nome era Emmett Till" (Bob Dylan, The Death of Emmett Till,1962)

Emmett Louis "Bobo" Till (Chicago, 25 luglio 1941 – Money, 28 agosto 1955) era un ragazzo afro-americano che venne brutalmente assassinato per motivi razziali nella cittadina di Money, Mississippi. La sua morte è ricordata come uno degli eventi chiave che hanno rafforzato il nascente movimento per i diritti civili statunitense. I principali sospettati vennero assolti, ma in seguito ammisero di aver commesso il crimine.
Nel 1955, Till e suo cugino vennero mandati a passare le vacanze estive dal prozio di Emmett, Moses Wright, che viveva a Money, Mississippi.Prima della sua partenza per il Delta, la madre di Till lo ammonì a "stare attento a come si comportava" con i bianchi: la madre sapeva, infatti, che i rapporti fra bianchi e neri nel Mississippi e nel sud degli Stati Uniti erano molto diversi da quelli esistenti a Chicago. Le tensioni razziali si erano inoltre acuite da quando la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva deciso, nel 1954, di abolire la segregazione nelle scuole pubbliche.

LA VICENDA

Till arrivò a Money il 21 agosto. Il 24 agosto si recò, assieme ad altri ragazzi, al Bryant's Grocery and Meat Market per acquistare dolciumi e bibite. I ragazzi erano figli di mezzadri e avevano passato l'intera giornata a raccogliere cotone. L'emporio era di proprietà di Roy e Carolyn Bryant, marito e moglie. Il cugino di Till e altri ragazzi di colore, tutti al di sotto dei 16 anni, erano con lui nel locale. Till aveva mostrato loro delle foto della sua vita a Chicago, compresa una di lui con i suoi amici e la sua fidanzata, una ragazza bianca: i ragazzi non riuscivano a credere che Emmett fosse fidanzato con una bianca, e lo sfidarono a rivolgere la parola a una donna bianca nel negozio. Mentre Till stava lasciando il locale, apparentemente disse "Bye, baby" a Carolyn Bryant, una donna bianca, sposata: questa si alzò e corse alla sua auto. I ragazzi, temendo che potesse tornare con una pistola, fuggirono terrorizzati. Quando il marito di Carolyn, Roy, venne a sapere questo fatto al momento del suo ritorno in città qualche giorno dopo, si infuriò. Il cugino di Till, Wheeler Parker Jr., che si trovava con lui nel negozio, afferma che Emmett si limitò a fischiare alla donna e nulla più: "Amava le beffe, gli scherzi, gli piaceva divertirsi ... nel Mississippi, la gente non pensava che questo tipo di scherzi fosse divertente". Carolyn Bryant affermò in seguito che Till l'aveva afferrata alla vita e le aveva chiesto un appuntamento. Disse il giovane aveva inoltre usato parole "irriferibili": Emmett aveva una leggera balbuzie, e alcuni hanno ipotizzato che la Bryant abbia potuto fraintendere ciò che le disse.
Quando Roy Bryant, all'epoca ventiquattrenne, ritornò in città tre giorni dopo, tutti nella contea di Tallahatchie erano al corrente dell'accaduto, di cui circolavano innumerevoli versioni. Bryant decise che lui e il suo fratellastro, J.W. Milam, di 36 anni, si sarebbero incontrati quella domenica alle 2 di notte per "insegnare al ragazzo una lezione".

L'OMICIDIO

Verso la mezzanotte e mezza del 27 agosto, Bryant e Milam rapirono Emmett Till dalla casa del suo prozio. Secondo il racconto dei testimoni, lo portarono in auto verso un capannone in una piantagione presso la contea di Sunflower, dove lo seviziarono e gli spararono. Gli legarono un peso attorno al collo e gettarono il corpo nel fiume Tallahatchie presso Glendora, un altro villaggio a nord di Money.
I due fratellastri tentarono di convincere tutti che il ragazzo fosse tornato a Chicago: in effetti, quando il corpo venne recuperato, l'unico mezzo per risalire all'identità della vittima fu l'anello che aveva al dito, che apparteneva a suo padre Louis e che la madre gli aveva dato prima che partisse. Ben presto sospettati per la scomparsa, Bryant e Milam vennero arrestati il 29 agosto dopo aver passato la serata con alcuni parenti a Ruleville, distante poche miglia dalla scena del crimine.
Dopo che il cadavere orribilmente sfigurato di Emmett Till venne scoperto, venne posto in una cassa per essere interrato, ma Mamie Till volle che la salma facesse ritorno a Chicago. L'impresa di pompe funebri, viste le condizioni del corpo, non aveva intenzione di aprire la cassa, ma Mamie Till combatté risolutamente questa decisione: poiché lo stato del Mississippi non permetteva all'impresa di aprirla, Mamie minacciò di farlo da sola, sostenendo che aveva diritto di vedere suo figlio per l'ultima volta. E dopo aver visto la salma, pretese che la cerimonia funebre si svolgesse con la bara aperta, e consentì a tutti di scattare fotografie, perché tutti vedessero come era stato ridotto il corpo di Till. Le fotografie del cadavere mutilato di Till ebbero una vasta diffusione negli Stati Uniti, e comparvero sulla rivista Jet, suscitando un'intensa reazione popolare. Secondo alcune stime, circa 50.000 persone videro il corpo.
Il processo ebbe inizio il 19 settembre e il 23 settembre la giuria, composta da 12 maschi, tutti bianchi, assolse gli imputati. Il verdetto fu pronunciato in soli 67 minuti; uno dei giurati disse che si erano presi una "pausa per prendersi una bibita" per allungare il tempo fino a un'ora "per farlo sembrare vero". Quest'assoluzione scandalosa fece infuriare la gente non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, e contribuì a rafforzare il nascente movimento per i diritti civili.